giovedì 10 novembre 2016




Un’azione teatrale progettata per un luogo metateatrale: in un angolo della piazza, nel salotto buono di casa, o nella lavanderia a gettoni.
Le fiabe di paura ci parlano della sfida tra l’uomo e i suoi fantasmi.  E come ben sappiamo, senza per questo ammetterlo apertamente, i fantasmi esistono e le fiabe sono molto semplicemente cronache reali della lotta tra luci e ombre.
 
Quelle riscritte da noi, e riscritte a ogni nuova replica, sono degli “spartiti vocali” alla costante ricerca delle sonorità e della musicalità che sgorgano nell’esercizio dell’espressione orale. È importante per una fiaba avere un suono, una consistenza sonora. Una fiaba per essere tale deve essere raccontata, e solo con la “trasmissione in voce” può essere condivisa, e compiere la sua missione catartica. È con la sonorità che una storia diviene immagine senza alcun peso. L’immagine, quella fatta di materia pesante e ingombrante, è ridotta al minimo. Attori e burattini. Voci e legno.

Tre fiabe:
“Due gobbi” narra di due fratelli, uno intelligente e sensibile, l’altro allocco e coriaceo. I due percorrono la stessa strada, incontrano le stesse opportunità, ma il loro destino a un certo punto diverge. A volte il nostro destino è solo questione di stile.
“Zio Cocon”: una bambina golosa e bugiarda sceglie la via della menzogna per soddisfare le sue bramose voglie di cibo e finisce, incappando nella legge che dice chi di cibo ferisce di cibo perisce, tra le fauci del vendicativo zio. La menzogna ha gambe corte e digestione lunga.
“Giuanin senza paura”: un ragazzo totalmente privo di paura affronta un orribile gigante sorseggiando vino e mangiando salame. Finirà per liberare il mostruoso essere da un noioso incantesimo che lo imprigiona in un camino. La paura è come il peperoncino, brucia ma fa bene alla salute.


In Fiabe di paura cerchiamo di ricreare l’atmosfera aperta e libera di un teatro fuori dalla forma convenzionale di rappresentazione. Non “fingere d’essere” ma “giocare all’essere”. Senza pareti a dividere, spezzando trame e ritmi in un sincopato incedere del racconto.
Si lavora su più piani: quello del racconto proveniente da un testo e quello all’improvviso scaturito da un’idea, da un capriccio dell’attore o del pubblico.
Il racconto fiabesco non ha limiti di tempo o spazio. Ci rivolgiamo verso il bambino, che sia tale per età o per scelta, in grado di costruire nel nulla un mondo.

UF